Di college esclusivi, yakuza casalinghi e multiversi.
Io vi vedo che piangete perché siete tornatə dalle vacanze, prostratə sulle vostre scrivanie a sperare che l’abbronzatura duri il più a lungo possibile.
Invece io, per mantenere la mia tipica carnagione da indoor estremo, ho schivato il sole con una tecnica assodata che prevede di usare la protezione 50 anche in città, non uscire nelle ore più calde della giornata, bere molta acqua e mangiare tanta frutta, da brava anziana che dà retta a Studio Aperto.
ELITE (NETFLIX)
Sarà stato il caldo che mi ha resa abulica, ma una sera ho iniziato a vedere Elite e non sono riuscita a mollarla come il mio buon senso mi suggeriva.
È una serie spagnola ambientata in un esclusivo liceo di Madrid che nella costruzione narrativa si rifà a How to get away with murder: nel presente ci vengono delineati i personaggə (sedicenni riccony e viziaty vs. sedicenni povery che faticano ad integrarsi nella scuola, con relative dinamiche sentimental-sessuali) mentre con rapidi flash-forward capiamo che avverrà un delitto in cui tuttə sono più o meno coinvoltə.
Ecco, questa cosa mi ha inchiodata perché è ben costruita, e lo ha fatto nonostante le evidenti debolezze della serie. Non è un caso se Netflix ne definisce il genere come stile soap: recitazione sopra le righe, colpi di scena che si alternano tra ricatti, vendette, rapporti a tre, tradimenti e Martini con le olive, in un coacervo di Tematiche Importanti™️ per stare al passo coi tempi (tra tutte: HIV, omosessualità, differenze sociali e religiose, spesso in combo). Il tutto in una location che dovrebbe rappresentare Madrid ma che è chiaramente un set - davvero pulitissimo - in cui non si sciupa budget per le comparse e che quindi sembra un paesino abitato solo dai protagonistə della serie.
È tutto così palesemente inverosimile che se ti prende in un momento di debolezza, come è successo a me, diventa un guilty pleasure di tutto rispetto.
YOUNG ROYALS (NETFLIX)
Dopo la sòla mesmerizzante di Elite, Netflix ha voluto farsi perdonare proponendomi una serie svedese fatta bene, nella sua semplicità, che ha per protagonista il principe secondogenito della Casa Reale di Svezia, anche lui alle prese con un esclusivo college e con le relative dinamiche.
Una serie semplice, dicevo, senza particolari elementi di rottura e con una storia anzi tutto sommato normale: come può un erede al trono vivere serenamente la propria omosessualità?
Si distingue però da altre vicende simili perché normalizza l’omosessualità in sé (il focus è casomai incentrato sulle difficoltà in relazione al titolo nobiliare) e normalizza anche il fatto che i protagonistə sono adolescenti con l’acne, o con la fiatella mattutina, o con corpi non conformi rappresentati come desiderabili.
Non è la serie che vi obbligherei a vedere, non esageriamo, ma è sicuramente una serie - breve, sei episodi - che vi consiglio se vi interessa una versione moderna di Vacanze Romane. Spero lo rinnovino per una seconda stagione.
LA VIA DEL GREMBIULE — LO YAKUZA CASALINGO (NETFLIX)
Tatsu è stato un temibile capo yakuza, conosciuto come Drago Immortale, che per amore ha abbandonato il crimine. Dal momento che sua moglie lavora, è lui a occuparsi delle faccende di casa, con la stessa intensità e la stessa meticolosità con cui prima si occupava di affari.
Tra una svendita al supermercato e un corso di yoga, Tatsu vive sereno la sua vita, il cui scopo è far felice l’amata Miku, anche se la sua vecchia vita e il suo aspetto minaccioso creano non pochi malintesi.
È una serie spassosa e brevissima (per ora 5 episodi da 15 minuti), che il più delle volte travalica il nonsense, proprio come piace a me.
Le storie ripetono esattamente il manga da cui sono tratte, tanto da essere animate in motion comic, con un risultato ancora più surreale.
Cuore a margine per il gatto di casa, Gin, e per le sue passeggiate nel vicinato.
Netflix ha anche fatto uscire uno speciale dal lungo titolo L’ingegno dello yakuza casalingo - La via per la via del grembiule: sono cinque episodi da pochi minuti ciascuno* girati in live action, in cui Tetsuo ci mostra come toglie le macchie difficili, come fa la differenziata, come stende il bucato e naturalmente come affila perfettamente una lama.
Vedere un ex capo yakuza che con tranquillità, serietà e devozione esegue questi lavori è talmente assurdo da diventare avvincente, anche perché spesso gli succede qualche sfiga e deve ricominciare dall’inizio.
*ci vuole più tempo a scrivere il titolo completo che a guardarla.
AMERICAN HORROR STORIES (DISNEY+)
Spin-off di American Horror Story, è formato da sette episodi autoconclusivi, praticamente dei racconti rispetto ai romanzi che costituiscono le stagioni di AHS.
Ne salvo due, Ba’al e Feral, il primo ricorda Rosemary’s Baby ma con un twist finale mentre l’altro è abbastanza insensato da essere divertente.
Degli altri episodi due si perdono in introduzioni lunghissime e in risoluzioni affrettate, mentre ben tre episodi sono dedicati alla Murder House: all’inizio è entusiasmante, ma ha il grave difetto di non riportare in scena i vecchi personaggə (cosa che sarebbe stata necessaria, soprattutto dopo il finale di Apocalypse) e di costruire una nuova storyline della quale francamente me ne infischio.
Insomma, una mezza delusione, anche per l’hype con cui l’aspettavo, e un’occasione sprecata per il formato narrativo: poteva essere un gioiellino e invece è bigiotteria appena decente.
Ho imparato qualcosa da questa esperienza? No, infatti è iniziata la decima stagione della serie madre e io sono già lì con gli occhi a cuore.
LOKI (DISNEY+)
Chi di voi è interessatə al mondo Marvel ha già letto, pensato e detto tutto quello che c’è da dire, quindi il mio parere sulla serie in sé adesso sarebbe inutile e tardivo.
Quello che però mi interessa condividere è l’entusiasmo per ciò che Loki rappresenta per il futuro del MCU.
Se Wandavision e The Falcon and the Winter Soldier sono due origin story, qui abbiamo niente meno che la genesi del multiverso: cioè la base per tutta la fase 4 e per i film che verranno.
Non so voi, ma io sto già facendo gli urletti!