Cotto e guardato: gennaio 2022
Le mini recensioni dal colore brillante e multisfaccettato: perché noi valiamo.
Le mini recensioni dal colore brillante e multisfaccettato: perché noi valiamo.
Gennaio è un mese di sessanta giorni, come ben sappiamo, e questo mi ha dato tempo per vedere parecchia roba interessante, quindi vi consiglio di mettervi in una posizione comoda.
Orsù, leggiamo!
AND JUST LIKE THAT… (NOW TV)
Il reboot di Sex and the City funziona! Non è perfetto, ma funziona, che sollievo!
Parte un po’ zoppicante nei primi due episodi: manca Samantha (la cui assenza è pesantissima, ma mai ignorata) e ci sbattono in faccia un evento che ci lascia parecchio traumatizzatə (ne parlo alla fine, visto che è uno spoiler grosso - ehm).
È inevitabile iniziare a guardare questa nuova serie con sospetto: sarà all’altezza? Ma, soprattutto: saprà superare quei limiti della serie originale - e dei due film - che nel 2022 sono diventati davvero problematici?
In un primo momento non si direbbe, perché Carrie, Miranda e Charlotte sembrano annaspare in un mondo che non è più il loro.
Con il terzo episodio invece la serie prende slancio e finalmente ci rendiamo conto che questa è una storia di rinascita, in cui quell’annaspare che all’inizio non capivo è parte integrante della narrazione.
Con un valore aggiunto non da poco: in questo momento non c’è nessuna serie mainstream che abbia per protagoniste delle cinquantacinquenni e che racconti il loro punto di vista, in un mondo che tende a invisibilizzare le donne oltre una certa età e a colpevolizzarle per il fatto stesso di essere invecchiate. Se andate a leggere in giro qualche commento agli episodi, vedrete come questa serie riesce ancora a triggerare le persone e a metterne in evidenza i pregiudizi. E questo non può che essere un buon segno, no?
Certo le nostre eroine sono comunque privilegiate, perché bianche e piene di soldi, ma non c’è mai la volontà di idealizzarle e di mitigarne i limiti, che anzi ci vengono raccontati con onestà e senza sconti, sempre oscillando tra commedia e dramma.
La serie rimedia alla maggior parte degli errori del passato e lo fa anche attraverso le inadeguatezze e i difetti delle tre amiche, che, come è giusto che sia, non sono più le stesse di una volta. Affrontano cambiamenti e tematiche importanti e lo fanno in modo coerente, perché la serie è scritta con la piena consapevolezza di non poter ricreare la magia della serie originale ma di dover ricominciare da capo, con uno spirito più in linea con il periodo in cui viviamo e con la chiara intenzione di superare tutti quei limiti che hanno fatto invecchiare così male Sex and the City.
È per questo che le autrici di And Just Like That tagliano con il passato in modo drastico e spietato, e ci dimostrano le loro intenzioni in due modi: cambiano il titolo alla serie ed eliminano un personaggio che avrebbe tenuto la narrazione troppo ancorata ai vecchi errori.
E mentre inveivo perché Carrie piangeva e teneva tra le braccia il suo grande amore invece di chiamare i soccorsi, non ho potuto fare a meno di chiedermi: la morte di Big è il simbolico sacrificio umano sull’altare del perdono?
HARLEM (PRIME VIDEO)
E se Sex and the City venisse girato nel 2021?
Si svolgerebbe a Harlem, le protagoniste sarebbero quattro donne nere di successo, di cui una queer, e i temi sociali e politici sarebbero molto più presenti, nel tentativo non sempre riuscito di tenere insieme comedy e impegno. Sarebbe una serie molto divertente ma non altrettanto disruptive, anzi a volte un po’ prevedibile.
Nonostante questo, Harlem è una serie molto carina e godibile, breve, di quelle da guardare con leggerezza ma senza sensi di colpa, perché si mantiene sempre una spanna abbondante sopra la superficialità.
DOCTOR WHO STAGIONE 13 - FLUX
Io non vedo l’ora che Chris Chibnall (lo showrunner delle ultime tre stagioni) se ne vada. Ci siamo quasi.
Flux è in realtà una mini serie in sei parti che inizia alla grande stravolgendo il mondo della Doctor con tantissime storyline diverse, ma è come se Chibnall avesse cucinato un pranzo buonissimo da dieci portate e poi avesse mollato piatti e pentole da lavare. Ci sono dei momenti molto belli e avvincenti (l’episodio con gli Angeli Piangenti su tutti) ma poi manca una risoluzione vera e propria che porti a una chiusura soddisfacente.
Ed è un peccato, perché Jodie Whittaker è una Doctor iconica purtroppo inchiodata da una scrittura che, nonostante alcune idee ottime, non ha saputo indovinare la formula.
Dopo la bomba lanciata con il tema della Timeless Child nella scorsa stagione, non ci viene chiarito davvero cosa sia successo, ma anzi le origini della Doctor vengono offuscate sempre più da nuove mezze rivelazioni che prima o poi qualcuno dovrà svelare. Speriamo lo facciano negli ultimi due speciali.
Un’altra cosa che mi è sembrata forzata e sbagliata è l’interesse romantico della companion Yaz nei confronti della Doctor, puro fan-service. Non sarebbe la prima volta che unə companion si innamora di quest’alienə con due cuori. Ma una storyline queer sarebbe stata molto più interessante con River Song, secondo me.
Diciamo che questa stagione è meno peggio delle due precedenti, ecco, ma sono molto curiosa (e speranzosa) di vedere cosa farà Russell T Davies quando riprenderà le redini della serie per il sessantesimo anniversario.
MOVE TO HEAVEN (NETFLIX)
La serie coreana del mese ha per protagonisti Geu-Ru, un giovane che rientra nello spettro autistico, e suo zio San-Gu, due persone completamente diverse che si ritrovano a convivere forzatamente. Lavorano come “ripulitori del trauma”: si occupano di sgomberare gli appartamenti delle persone morte, ricostruendo le loro vite attraverso gli oggetti che hanno lasciato. In questo modo aiutano i defunti nell’ultimo “trasloco” e indirettamente aiutano anche le famiglie a dire loro addio.
Basata su un saggio dal titolo Things Left Behind, questa serie ha un impianto molto solido che si muove su due livelli: da una parte c’è la storia dei due protagonisti che indaga il tema della famiglia nei suoi diversi aspetti, con un tema sociale di fondo che si dipana di episodio in episodio attraverso le loro storie personali.
Dall’altra ci sono i defunti e “le cose che si lasciano indietro”, che permettono di affrontare temi importanti come l’omosessualità, il femminicidio, l’abbandono degli anzianə, le adozioni internazionali.
Il tutto è avvolto dal tema dell’elaborazione del lutto e dall’impatto che le nostre vite hanno su chi ci sta intorno.
La narrazione è delicata, coinvolgente e commovente, per non parlare della fotografia spettacolare e dell’importanza attribuita ai luoghi come elemento intrinseco di storytelling.
Geu-Ru ha un modo tutto suo di esprimere le emozioni, eppure si trova a lavorare in un contesto in cui proprio le emozioni sono fondamentali: il suo modo di esprimere empatia si traduce nell’urgenza di donare ai defunti una chiusura alle questioni rimaste in sospeso.
Anche lo zio ha difficoltà a esprimere quello che prova, per ragioni completamente diverse, e per questo si nasconde dietro una maschera di cinismo destinata a cadere.
Vi consiglio questa serie ma non posso nascondervi che si piange tantissimo, è un estrattore di lacrime di tutto rispetto, ma per come la vedo io ne vale la pena.
Se proprio devo muovere una critica nei confronti di Move to Heaven, è nel ritratto stereotipizzato delle persone autistiche come savant, fenomeno molto più raro di quello che le fiction ci fanno pensare.
QUEER EYE STAGIONE 6 (NETFLIX)
Uno dei miei comfort watch per eccellenza è questo reality in cui cinque persone queer, i Fab 5, in ogni episodio fanno un restyling completo a qualcunə che si trova in una fase di stallo della propria vita e lə aiutano a voltare pagina e a ricominciare. Quello che fanno è trasformare una situazione grigia riempiendola coi colori dell’arcobaleno (sì, sono anche poeta).
Spero lo conosciate già, se no rimediate appena possibile: è un programma che apre i cuori (e i pacchetti di fazzoletti) perché quello che viene fatto è molto più di un cambio di look, per citare il claim della trasmissione.
Queer Eye è un condensato di amore e umanità che combatte i pregiudizi con il dialogo. Quella del make-over è una scusa, un paravento, per parlare di temi più ampi e instaurare un confronto con persone che hanno un punto di vista diverso o nuovo rispetto al nostro. È un’occasione per creare una connessione, uno scambio di storie tra realtà differenti.
I Fab 5 ci dimostrano che prenderci cura di noi stessə non può che portarci a migliorare le nostre relazioni con chi ci sta intorno, in un prezioso circolo virtuoso.
Menzione speciale per quell’anima pura che è Jonathan Van Ness, folletto non binario che mi insegna la vita.
THE MATRIX RESURRECTIONS
Possiamo giudicare questo film in due modi. Pillola blu: è il giudizio che diamo a caldo appena uscitə dal cinema, che può essere solo entusiastico o disgustato, senza vie di mezzo. Pillola rossa: è il giudizio che arriva a freddo, più riflessivo e meno istintivo. E chi siamo noi per rifiutare la pillola rossa?
È vero, questo film non è perfetto, soprattutto nella seconda parte, ma ho la sensazione che non sia importante. Io ci ho visto un atto d’amore da parte di Lana Wachowski, che si è voluta riappropriare di una creatura di cui rischiava di perdere il controllo: questo lo esplicita subito, quando vediamo che Matrix è diventato un videogioco e che il suo creatore è stato riassorbito dal sistema. La mossa intelligente è stata quella di fare della metatestualità la colonna portante di tutto il primo atto, una manovra ai limite dell’autoreferenzialità che secondo me funziona.
Wachowski si è anche riappropriata della propria storia personale, rielaborando vent’anni dopo quella metafora che all’epoca non era stata rivelata. E lo fa attraverso i suoi personaggə, dando loro una nuova vita, e nuove ambizioni. Li ammanta del suo amore, con la narrazione caciarona, kitsch e spesso imperfetta che avevo adorato in Sense8 (e che bello rivedere alcunə di loro anche qui!).
E sempre l’amore muove gli eventi: Neo non salva il mondo, salva Trinity.
Ormai lo sappiamo, con le opere delle Wachowski è così: o entri nella tana del bianconiglio, o rimani dove sei. Pillola rossa o pillola blu.
THE ETERNALS (DISNEY+)
Se vi piace il MCU per il suo animo scanzonato e ridanciano, questo film non fa per voi. Se siete esegeti dell’autorialità dei fumetti originali, questo film non fa per voi (però voi che li guardate a fare, i film del MCU?).
Chiarito questo, The Eternals è un bel film con un forte impianto filosofico che però non si fa mai pesante. I temi sono più “alti” rispetto agli altri film e molto più delicati, e non a caso la regia è stata affidata alla premio Oscar Chloé Zhao, che porta all’interno dell’evoluzione della saga un punto di vista nuovo e alternativo, che si traduce in personaggə estremamente diversə tra loro: corpi e orientamenti sessuali differenti, identità di genere fluide, con disabilità e neurodivergenti.
Mi piace molto la lettura escatologica che comporta la natura di queste creature, l’origine delle nostre religioni (e dei nostri progressi tecnologici) e la circolarità per cui i Celestiali sono creati all’interno dei mondi che si sono evoluti (grazie agli Eterni). Nascendo distruggono questi mondi per ricominciare il ciclo.
Il fatto che gli Eterni si vogliano opporre a questo cerchio che distrugge per creare è un vero manifesto di amore nei confronti del genere umano, una lettera d’amore scritta da una famiglia disfunzionale che proprio nella varietà dei soggetti rappresenta l’umanità che tentano di salvare.
SPIDER-MAN NO WAY HOME (**SPOILER-FREE**)
Cosciente del fatto che se sono riuscita a vedere questo film così tardi senza beccare gli spoiler è stato un mezzo miracolo, non voglio rovinare le sorprese (sì, plurale) a altrə sfortunatə che per mille ragioni valide non hanno ancora potuto vederlo.
Quindi mi limiterò a dire che No Way Home funziona alla perfezione, che è un tassello fondamentale nell’universo cinematografico Marvel e che gira così bene che sembra durare pochissimo.
È l’imbuto perfetto in cui confluisce tutta la narrazione di Wandavision, Loki, What If? e anche Into the Spiderverse, ennesima dimostrazione del fatto che questo universo è costruito e ragionato con estrema razionalità e coerenza, senza mai improvvisare.
Sto già sbavando perché è chiaro che questo imbuto non porta a una chiusura ma anzi è la rampa di lancio verso mille possibilità narrative, a partire dal prossimo Doctor Strange in the Multiverse of Madness.
Mi sono buttata in questa metafora di imbuti e poi mi sono persa, ma tutto sommato va bene così perché rende l’idea di come sta il mio cervello dopo la visione.
Come sempre ci sono due scene post-credit, non fate quellə che se ne vanno appena iniziano i titoli di coda (peraltro bellissimi anche loro)!